Il deserto di ghiaccio

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Dannato foglio bianco. Ero lì da oltre un’ora e il risultato era sempre lo stesso: niente! Ogni volta iniziavo a scrivere, una, due, tre righe, arrivato alla quarta cancellavo tutto, ricominciavo da capo e il foglio tornava bianco, immacolato, vuoto, beffardo. Più lo guardavo e più mi sembrava una palude nella quale inesorabilmente affondavano le parole dei miei scritti, inghiottite dalle sabbie mobili di quel colore così asettico, gelido, compatto, quasi fosse un macigno bianco che io provavo inutilmente a graffiare con i caratteri delle parole che stavo scrivendo, via via sempre con meno lena, ormai sfiancato dall’inutilità del mio insistere.

Provo a chiudere gli occhi, cerco un’ispirazione e mi sforzo ancora di scrivere. Qualunque cosa è meglio dell’inattività. Qualunque cosa è meglio di questo dannato candore, che si rinnova sarcastico ogni qualvolta cancello le parole inutili con le quali ho provato a riempirlo.

Cosa non darei per provare nuovamente quell’incredibile sensazione che si ha quando, giunti alla fine di una pagina, si è consapevoli di aver portato a termine il compito che ci sì è assegnato.

Riprovo ancora. Non sto bene, sento caldo, sonno e sono dannatamente stanco, però insisto e avanzo come un rocciatore che vede avvicinarsi la vetta e, pur tra mille difficoltà, si erge centimetro dopo centimetro verso il vertice della montagna che ha deciso di scalare.

Ora mi sembra di essere lo scalatore che perde l’appiglio e scivola verso il basso, lungo il declivio di ghiaia, ma la ghiaia sono i punti e le virgole e le parole sono i massi che mi colpiscono e che mi franano addosso.

Testardo ricomincio a salire, ma non vedo la fine della scalata, così come non vedo la fine del foglio, perché il bianco è uguale all’infinito e – nell’infinto – ci si perde, di modo che la strada verso l’uscita da questo deserto di parole, che dovrei scrivere, non può essere trovata.

Ancora una volta mi ritrovo al punto di partenza, signore e padrone d’infiniti luoghi comuni, dove parole, virgole e apostrofi, sparsi a caso, scivolano e rotolano sul bianco e immacolato deserto di ghiaccio, d’idee congelate e parole prive di senso.

Caparbio proseguo. Più mi addentro in questo mondo spettrale, più voglio avanzare e non mi curo di poter tornare indietro. Scrivo frasi, consapevole che non vi sarà ritorno possibile, né opportunità di soddisfazione alcuna, perché, giunto alla fine della pagina, non resterà che l’angoscia di dover ricominciare un’altra volta di fronte ad un nuovo, intatto, gelido, dannato, foglio bianco.

By Pepelion

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