L’attore

amleto
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Questa storia, comincia nel camerino di un vecchio teatro dagli ambienti decadenti e i tessuti consunti: davanti c’è lo specchio, di fianco – sulle grucce – i costumi di scena appartenenti a diverse commedie.

Il truccatore ha appena chiuso la porta, mentre il rumore contro il battente mi scuote e fa cominciare la realtà in quell’istante, come non ci fosse mai stato il passato.

Il dramma è, che non ricordo – non la parte – ma la commedia che devo recitare! Eppure, amo il teatro, amo rappresentare l’animo umano, ma ogni sera tremo, per la paura di non riuscirci.

Indosso ancora la tuta color carne, che è in tono col pallido trucco, ma non rimane più tempo e devo uscire, così come sono.

Percorro il corridoio deserto fino alle quinte, nel silenzio più assoluto e mi sento nudo. La scena è buia e le assi cigolano in modo sinistro sotto i miei piedi: salgo.

L’occhio di bue mi prende con se e mi porta al centro del palcoscenico, di fronte ad un muro nero. Il respiro del pubblico è lì sotto, come quello del toro nell’arena, prima della carica.

All’istante la scena s’illumina e il mio costume, come per magia, si colora e prende foggia: non importa se sia l’Amleto o Pulcinella, tutto diventa palese, come l’immagine percepita dalla platea.

Non conta nemmeno se lo sento mio, quel maledetto costume; perchè il pubblico, aspetta la mia battuta. E così – mentre il teatro non ha più pareti – di fronte a me è la vita.

7 risposte a "L’attore"

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    1. Il retroscena di questo racconto è che l’idea nasce durante una riunione svoltasi in Germania, presso un fornitore tedesco, presenti i vari papaveri da una parte e dall’altra. Io ero lì che aspettavo di entrare in scena e parlare della mia parte.
      Quelle, sono situazioni sempre molto artefatte, attorno alle quali girano interessi economici e l’ambizione di mostrare che ce lo si ha più duro.
      Io avrei voluto invece essere a casa, vicino ai miei affetti e a risolvere i miei problemi personali. Invece, per vivere, per quel tozzo di pane (paragonato ai guadagni dei suddetti papaveri), ero costretto a stare lì.
      In un attimo mi si è accesa la lampadina della metafora, scritta di nascosto, in un quarto d’ora e pubblicata, giusto in tempo per prendere la parola e recitare la mia parte.

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