Da qualsiasi tempo tu venga e in qualsiasi tempo tu vada, prova ad ascoltare certa musica – la tua musica. Stai comodo, tieni gli occhi chiusi e mettiti una buona cuffia: sentirai i battiti del cuore di qualcuno in sincrono col tuo e ascolterai i battiti di un determinato momento o una determinata emozione. Non ti spaventare: se riesci a farlo sei un “crudo” e se riesci “ancora” a fare tutto questo, sei vivo.
Papillon
Il Prologo
Tutto finì quella volta che il Quatta e io entrammo all’Hennessy di Strada del Pino, in collina. Credo non fosse passato un quarto d’ora, che gli dissi: “Non riesco più a stare qua dentro, dobbiamo uscire.” Mi capì al volo e fu l’ultima: passò del tempo prima di rimettere piede in una discoteca. La gente e la musica non erano più i nostri. E quando accadde di nuovo, occasionalmente, non fu più la stessa cosa, com’era logico che fosse.
La storia
Mentre lavoravo alla bozza di un post, d’improvviso: tac! Mi trovo nella soffitta della mia mente, in mezzo a vecchi ricordi impolverati. Senza sapere dove sarei andato a parare, abbinata al pezzo, mi vedo una foto di James Dean, tratta da un servizio fotografico di Dennis Stock, realizzato a New York nel 1955, poco prima che l’attore morisse in un tragico incidente stradale. Foto “icona”, che al principio degli anni ’80 fu usata come testimonial della mitica Radio Flash 97 e 7 di Torino. Rimuovo la polvere e da quei microfoni, risento le storiche voci di Alberto Campo, Renato Striglia e di un giovanissimo Mr. Mixo, oggi noto “dj” di Radio Capital, che con la loro professionalità e competenza hanno cresciuto musicalmente una generazione di ragazzi torinesi. Rock, punk, reggae, ska, new wave e ogni tipo di musica alternativa dell’epoca, erano i generi trasmessi. Non c’era un altra radio così. Io, però, così alternativo non lo ero, ma originale nei gusti credo di sì. Cure, Clash, Simple Minds, Police, Prefab Sprout, Psichedelic Furs, Depeche Mode, Soft Cell, Smiths, Style Council, Spandau Ballet, Tears for Fears, Scritti Politti e tanti altri, che accompagnavano i miei pomeriggi di studio.
A quel tempo c’erano vari modi di essere, che traevano origine dagli anni ’50 e ’60, passando per i ’70, fino a quell’epoca, che era l’inizio degli anni ’80: Rockers, Moods, Freak, Dandy, New Romantic, Punk, Dark e addirittura Rockabilly. Io ero un Dark. Si andava al Big di Corso Brescia il giovedì e al Tuxedo di Via Belfiore il venerdì, che frequentavo con tanto di guantini mozzati e purilla, anche lei dark: per me bellissima e sensuale da farmi morire. Devo alle sue dolci grazie, credo, il mio conclamato debole per una certa dannata (nel senso buono) femminilità, che non mi abbandonerà più in seguito. Ancora oggi il pezzo “My ever changing moods” degli Style Council mi ricorda il suo bacio più bello, rigorosamente in macchina: una Fiat 127 prima serie del ’74, rarissima tre porte di colore giallo banana con accessori “sportivi” after market neri, alla quale avevo attaccato una scritta nella parte inferiore del lunotto posteriore: “Il diavolo e l’acqua santa”. 45 CV di tamarro: devo dire altro? Sì: “Minchia!”
Era quella l’epoca mitica dei “crudi”, la compagnia con cui si andava a ballare, perché così ci autodefinivamo, usando un termine introdotto da colui che sarebbe poi diventato il Principe consorte della Regina di Mirafiori. Crudi nel senso di naturali, senza influenze, mentalmente non catalogati, oltre il ’68, ma prima della Milano da bere. E poi c’erano il Gregna, la Baronessa, il Gallo, e l’Odonto, più alcuni altri a completare il giro. E c’era Valerio, che per non pagare il guardaroba, in pieno inverno, veniva direttamente in T-shirt e scendeva di corsa dall’auto a -5, perché dentro si ballava e si schiattava dal caldo. Ah, e come si ballava! I movimenti ti facevano rannicchiare, appoggiando alternativamente prima un piede, poi l’altro, mentre le braccia e le mani si univano sopra la testa, come a proteggersi da un impatto. La classica posizione fetale a uovo. Sta di fatto che il movimento portava anche a curvarsi in avanti, piegando le ginocchia e guardando a terra, più o meno dove pestavano i piedi: quasi accovacciati. Tant’è, che una sera, pigiati nella bolgia del Tuxedo, con la musica a manetta, il Gregna gridò ad una tipa, che con stile si contraeva – ora su un piede, ora sull’altro – fissando il pavimento e in piena “trans” new wave: “Hai perso qualcosa?” Lei non apprezzò.
La Baronessa, forse, era la più autenticamente dark, vera antesignana degli Emo, estremamente sensibile, e oggi – direi – anche dolce, ma allora era un’amica e io le parlavo come ad un ragazzo. Una volta fui così duro, che le diedi – senza mezzi termini e con tono di sfottò – dell’imbranata, come si fa quando si scherza tra uomini, e la feci piangere.
Le canne giravano occasionalmente, ma non erano un vizio. Per dire che ci si lamentava e le cose non andavano bene, ispirati da una mia battuta, si diceva: “Ho tirato fuori le lamette…” Che culminò nello slogan mai realizzato: “Siringa, lamette e alcol puro: questo è il nostro futuro.” La battuta di peggior gusto, della quale mi vergogno, fu del Gallo, che vedendo la motocarrozzella di un disabile transitare a tutta velocità esclamò: “Easy rider, il mito della libertà!” “Crudi” e a volte un po’ coglioni, magari a percorrere l’intero tragitto da casa al Palasport, col passo dei Madness per andarli a vedere.
E i viaggi. Nascevano quasi sempre per caso, sull’onda dei sogni e di quello che evocavano. Fu durante uno di questi, che l’Odonto raggiunse il culmine del suo acume filosofico, quando sulla Ocean Drive di Miami, dopo aver riaccompagnato a casa due gnocche londinesi io sentenziai: “Hai capito che con queste non si tromba, vero?” E lui, con un po’ di (ipocrita) sdegno rispose: “Nella vita non c’è solo quello.” Ebbene, non ci crederete ma le serate trascorse con le due inglesine (senza trombare) sono rimaste tra i ricordi più belli. L’ultima sera organizzammo una cena (manco a dirlo all’italiana, preparata da lui) a casa loro e poi le portammo in spiaggia con un Berlucchi nel cestello del ghiaccio e quattro calici (di plastica), per salutarci. Fu commovente, qualcuno dirà, persino patetico. Poi, lasciate le tipe alle prime luci dell’alba, salimmo sulla nostra Mustang cabrio, tutta scoperchiata, e finimmo la nostra vacanza nel vento della freeway, cantando a squarciagola e mangiando tacos-snacks, mentre il sole si alzava sulla baia. E’ vero, nella vita non c’è solo “quello”, aveva ragione lui.
I sogni, il lavoro, il telefono, studiare, i concerti, le risate, l’amore, i libri, uscire, la rabbia, gli amici, cose da fare, i baci, i giri di notte con la radio a palla, la passione, la musica. Questa è stata la colonna sonora della nostra vita di allora, proprio come recitava lo slogan di Radio Flash a quel tempo.
L’epilogo
L’età dei crudi si sarebbe chiusa il giorno che il Quatta chiese al Principe, chiamandolo per nome e con voce greve: “Ma noi, siamo dei veri crudi?” Quell’incertezza era il segno di un epoca che finiva. La relazione con la mia purilla dark non durò molto e fu sempre a singhiozzo, ma lei per me rappresenta quegli anni, l’età dell’Eden: quell’età, che anche se il tempo passa, non ti fa dimenticare le sensazioni, che le amicizie e certi amori, ingenui ed acerbi, ti hanno lasciato.
Ai miei amici
Bellissimo pezzo
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Grazie
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👏👏👏
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Thank you so much!
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Magnifico pezzo. Tutta la mia musica preferita!!
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Oggi, come raramente mi capita per mancanza di tempo (e tranquillità), ho scorrazzato su you tube che ti propone tutti i pezzi attinenti: che viaggio!
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Davvero, chi allora c’era apprezza sul serio questo viaggio che hai proposto oggi.
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Stupendo, specialmente i riferimenti musicali.
Certo che la scena della camminata stile ‘Madness’ è impagabile.
K!
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Grazie, ma ho fatto dei torti e dovrò porre rimedio. Mi studierò qualcosa.
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Minchia, sono commossa. Un po’ cruda spero ancora di esserlo, non è solo una questione di età ma di indole.
Piuttosto mi sei caduto sulla Duchessa che in realtà è La Baronessa… ma è il senso di ciò dici che conta.
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Minchia con sti titoli nobiliari, il fatto è che mi son perso nel tuo blog e non ho trovato i pezzi su di lei. Quindi faccio ammenda e vado a correggere.
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E ora?
Cosa ne pensi della vita di adesso? Cioè, attenzione, non in tono accusatorio, intendiamoci: è la vita che va così.
Quindi riformulo: considerando come va la vita (per tutti) e come sei ora pur avendo fatto le scelte migliori che avresti potuto fare, cosa pensi? Cosa pensi della vita dopo l’adolescenza?
Io trovo che sia un po’ una rottura di coglioni. E’ una vita piatta, col tempo che viene sprecato per il 95% almeno.
E ,sprecando giorno dopo giorno, si continua il cammino lungo il “miglio verde”.
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Penso che ogni periodo della vita inizia e finisce. Quel periodo mi piaceva molto ed era molto divertente. Il periodo attuale non mi diverte. Le responsabilità e le preoccupazioni attuali (oggettive) non mi fanno sorridere per niente. Non ci posso fare nulla: per questo non ci penso, perché pensarci non serve e fa stare peggio.
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Mi piace! Mi piace davvero, perchè hai dato una risposta sincera, anzichè inventare delle risposte più “di circostanza” e più piacevoli per il proprio ego.
Mi aspettavo una risposta del cazzo, invece sai? 🙂 Ero pronto.
Forse sarebbe meglio auto-illudersi, ma anch’io come te preferisco guardare in faccia la realtà, nel bene e nel male.
Che poi… la vita m’ha dimostrato che tutte le cose che cerchiamo di nascondere a noi stessi, prima o poi vengono fuori…spesso con risultati anche peggiori.
Ho avuto modo di scoprire di essere più sano io ,così negativo, di tanti illusi che in seguito m’hanno rivelato di esser dallo psicologo ogni due per tre…e di aver trovato finalmente la loro “guida spirituale” in qualche centro di discipline new-age.
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Magistrale! 65Luna
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bello! Grazie
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