La nostra immagine riflessa

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Avete mai pensato a quanto la tecnologia ha modificato il mondo e il nostro modo di vivere? A partire dagli ’70 l’innovazione ha accelerato i cambiamenti: mentre mio nonno pensava che sarebbe rimasto tutto uguale, adesso – nell’ambito di una sola generazione – le innovazioni sono diventate sempre più tangibili; ripensando al passato, a parte la TV a tubo catodico e la musicassetta, sopravvissute ancora un po’ mentre già comparivano i primi telefoni cellulari, ci accorgiamo che per gli altri oggetti non c’è stato scampo. Ricordo, che quando entrai per la prima volta  in fabbrica, il concetto di automazione riguardava poche semplici – ma gravose e ripetitive – operazioni. Oggi, invece, la realizzazione di una postazione di lavoro (un aspetto del mio mestiere), prevede operazioni manuali ponderate e di sorveglianza delle macchine automatiche, mettendo al centro della progettazione la sostenibilità ambientale e la salute del lavoratore. Il controllo delle linee di produzione necessita, per questo, di persone qualificate: le macchine sono capaci di fermarsi da sole quando un comportamento errato non garantisce più la sicurezza della persona e avvisano i conduttori quando stanno per guastarsi e necessitano di manutenzione, nonché per fornire loro gli elementi necessari a fare delle diagnosi e prendere delle decisioni.

Grazie agli studi di aziende e università, siamo in questo momento arrivati al fatidico momento dell’interazione dei robot con l’uomo nel lavoro e prima di quanto possiamo immaginare vedremo anche il loro ingresso nella società. Non solo, già ora si stanno studiando delle funzionalità specifiche, per i robot androidi, come l’espressività del volto, il pollice opponibile, il tatto, l’olfatto o la comprensione degli ordini, ma addirittura la discrezionalità di fronte all’incertezza della vita reale, che ci rimanda al tema complesso della cosiddetta intelligenza artificiale. Un passaggio che sarà il punto di partenza verso la presa di coscienza e l’elaborazione dei sentimenti da parte delle macchine. Persone (poco intelligenti) stanno realizzando delle sexy bambole robot per le quali è allo studio l’implementazione di comportamenti umani, modellabili sui desideri del proprietario, allo scopo di creare l’amante ideale. Queste tecno-gnocche  saranno un sofisticato sistema tecnologico per l’autoerotismo, in grado di indurre reazioni mentali e psicologiche nel propietario. Una tristezza che fa rimpiangere le iniziazioni giovanili nei bordelli della Belle Epoque e le sbirciate adolescenziali dal buco di una cabina.

Io sono favorevole all’evoluzione e penso non ci sia motivo per cercare di fermarla. Credo altresì, che ne vada controllato l’uso, perché, ad un certo momento, bisognerà anche stabilire il limite da lasciare a queste intelligenze artificiali, in termini di discrezionalità e decisioni. Ricordo che le tre leggi fondamentali della robotica, scritte dallo scrittore di fantascienza Asimov, già negli anni ’40, stabiliscono quanto segue:

Un robot non può recare danno a un essere umano né può permettere che, a causa del proprio mancato intervento, un essere umano riceva danno.

Un robot deve obbedire agli ordini impartiti dagli esseri umani, purché tali ordini non contravvengano alla Prima Legge.

Un robot deve proteggere la propria esistenza, purché questa autodifesa non contrasti con la Prima o con la Seconda Legge.

Come si nota, esse non fanno menzione della discrezionalità, perché Asimov non contemplava o meglio non ammetteva, sapendo a cosa saremmo andati incontro, che il robot potesse sostituire l’uomo in tali funzioni, né – tanto meno – che potesse essere cosciente di se e potesse fare addirittura l’amore con l’essere umano. Insomma, stiamo andando oltre: però, se la discrezionalità puó essere il risultato di calcoli matematici, la coscienza e i sentimenti no. Probabilmente, in un modo che non immaginiamo, un giorno queste qualità potranno funzionare negli androidi così come accade dentro di noi: con solo poche funzioni basiche iniziali, ma dotati della capacità di memorizzare esperienze, apprendere e crescere come fa un neonato. Del resto, non siamo, noi stessi, una macchina – biologica – con tali caratteristiche? Quindi, quando avremo raggiunto tale obiettivo, ci troveremo di fronte una “creatura” cosciente ed emotiva, anche se artificiale, e sono certo che saremo stati così bravi – o coglioni – da riuscire a creare niente altro che la nostra immagine riflessa, con tutto ció che ne consegue e che già conosciamo.

14 risposte a "La nostra immagine riflessa"

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    1. Non solo, potremmo rischiare la vita (vedi leggi di Asimov). Leggevo l’altro giorno che Facebook ha dei controlli software automatici per la censura di determinate cose. In particolare ha fatto scalpore il fatto che la foto della bimba nuda di Hiroshima (credo) dopo lo scoppio nucleare sia stata catalogata dalla macchina come immagine pedopornografica, invece che come una drammatica testimonianza ed una foto per la memoria. Due riflessioni. Le macchine al momento sono ancora stupide e lo saranno per parecchio tempo. L’uomo non abbia fretta di affidarsi alle macchine perdendo il controllo diretto e reali: immagina un simile errore della macchina nella vita quotidiana in una condizione nella quale non è in grado di discernere la differenza, potrebbero generarsi delle conseguenze disastrose. Vedrai, che succederà, perché l’uomo non capisce fino a quando non si fa male.

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      1. In effetti fa paura… vedevo l’altro giorno un servizio sulla tecnologia, e pare che ormai si faccia di tutto perché l’uomo viva collegato alle macchine, per fino in cose banali come fare la spesa o uscire di casa… speriamo che l’uomo sia meno stupido delle macchine e impedisca conseguenze disastrose…

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  1. Mi è venuto un po’ da ridere leggendo questa parte: “Oggi, invece, la realizzazione di una postazione di lavoro (un aspetto del mio mestiere), prevede operazioni manuali ponderate e di sorveglianza delle macchine automatiche, mettendo al centro della progettazione la sostenibilità ambientale e la salute del lavoratore.”.
    Io andrei a dirlo a Microsoft, Apple e tutte quelle multinazionali che sfruttano manodopera a costo quasi zero.

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    1. La tanto criticata Fiat, ovvero FCA, su questo è all’avanguardia nel mondo. Essendo il mio mestiere te lo posso garantire, io ho contribuito all’intallazione di linee automotive in Brasile, India e Cina e abbiamo esportato anche in quei paesi (specialmente gli ultimi due che sono più arretrati in questo senso) concetti di sicurezza che nemmeno si immaginavano. Per questo nel mio piccolo ho un po’ di orgoglio.

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  2. Un mondo di macchine.
    Mi sovvengono “Metropolis” e “1984”, dove tutto è già calcolato, e dove lo spazio per la libertà di pensiero è ridotto al lumicino.
    Ma poi, se il lavoro lo fanno le macchine, non è che la forza lavoro diventi solo un esubero?
    Un solo tecnico può controllare il lavoro di centinaia di macchine, le quale sostituiscono centinaia di operai.
    L’automazione è una cosa in sé positiva, ma non bisogna dimenticare che dovrebbe essere sempre l’uomo al centro del progetto.

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  3. post eccellente,
    sono Torinese e quindi sono documentato sulle positive evoluzioni tecnologiche della Fiat (qui continueremo a chiamarla sempre così), comunque l’automobile è l’unica conquista tecnologica che regge da oltre cento anni. Tuttavia (entrando nel merito del tuo articolo) essendo di formazione umanistica guardo la cosa da un punto di vista filosofico e sociologico, lo tsunami tecnologico, bambola orgasmante inclusa, mira al progressivo isolamento fisico dell’individuo attraverso un percorso “sciacqua cervello” che ammorba la socializzazione diretta. “Tecnicamente” una società composti da individui isolati dipendenti dalla tecnologia è più facilmente gestibile.

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    1. Non ricordavo che fossimo concittadini… Alla “Fiat” ci lavoro e l’innovazione di cui parli l’ho vissuta, essendo parte del mio lavoro, e come ho detto a Vittorio ne sono anche orgoglioso.

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