Come tutte le sere a quell’ora accese il computer. Attese qualche momento poi digitò alcune parole e le inviò a colei che da qualche tempo era diventata la sua compagna di conversazione notturna. Fra i tanti contatti che aveva trovato, quella donna era quella che più gli si confaceva e con la quale sentiva di avere più affinità. Ormai erano parecchi mesi che la relazione andava avanti, anche se tutto quello che era riuscito ad ottenere era stato uno sporadico scambio d’immagini piccanti, ma nemmeno troppo: per quel che ne sapeva dall’altra parte poteva esserci qualunque persona. Non che le frasi scambiate attraverso la tastiera lasciassero spazio ad equivoci, ma lei si era sempre rifiutata di avere un contatto vocale o di mostrarsi attraverso lo schermo. D’altronde quella chat, a cui era iscritto, non prevedeva nemmeno quel tipo di servizio per cui dovette rassegnarsi e lavorare di fino finché, finalmente una sera, dopo molte insistenze, riuscì ad ottenere un appuntamento.
Si presentò puntuale sul luogo dell’incontro. Indossava un bel vestito elegante con giacca, cravatta blu notte e ai piedi un paio di scarpe nere lucide a specchio, con disegni arabeschi sulla punta: era stata Lei a chiedergli di vestirsi in quel modo, perché in un uomo diceva di apprezzare soprattutto l’eleganza e il portamento.
Prese posto nel dehor del bar, posò sul tavolino il giornale e il cappello a larghe falde, comprato per l’occasione, ordinò un aperitivo e provò a rilassarsi cercando di soffocare quello stato d’ansia che quell’appuntamento tanto sofferto gli aveva procurato.
Passarono i minuti e l’ansia, invece di diminuire, crebbe tanto che iniziò a guardarsi intorno sempre più nervosamente, inseguendo con lo sguardo e scrutando con attenzione i movimenti delle persone che passavano sul marciapiede. Poi spostò l’attenzione su quelli che gli stavano vicino: erano anch’essi vestiti in modo impeccabile, ognuno indossava un elegante paio di scarpe nere lucide con gli arabeschi in punta e, sul tavolino, accanto all’aperitivo, stavano appoggiati un giornale e un bel cappello a larghe falde che faceva sfoggio di sé. Notò che ciascuno di loro sembrava essere inquieto e che tutti quanti stavano guardando gli altri con evidente disagio.
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“Sei, dico sei persone tutte insieme nello stesso posto! Ma ti rendi conto? Dico: ti rendi conto della gravità di quello che è successo?”
“Beh, ecco… certo che sì.” L’impiegato farfugliò le parole con un filo di voce.
“Certo che sì? E’ tutto quello che sei capace di dire? La scorsa settimana tre e adesso sei, a questo punto potremmo arrivare anche a dieci!” Il capo pronunciò quelle parole con ira crescente.
“No, ehm, volevo dire che non doveva succedere”.
“Questo lo so anch’io, imbecille! Quello che devi dirmi è se hai capito il perché: se hai trovato cosa è andato storto e cosa possiamo fare perché non succeda mai più; mi sono spiegato?”. Ora il suo superiore era veramente fuori di sé, d’altronde l’accaduto metteva a rischio la sopravvivenza stessa dell’azienda e quel giovane informatico era l’unico che poteva salvarla o – fatalmente -assistere impotente alla sua fine.
“Ho fatto controllare tutto il programma. Ci stiamo lavorando al completo da più di una settimana, facendo i turni giorno e notte, in pratica ho sospeso ogni altra attività. Abbiamo verificato ogni singola riga, tutti gli algoritmi, ciascuna funzione, ma non è saltato fuori niente; niente di niente. Solo qualche piccolo errore di sintassi, che abbiamo corretto, ma che di sicuro non può essere stato la causa degli incidenti.”
“Incidenti, tu li chiami incidenti? Non sono incidenti, accidenti! Sono cose volute, qualche hacker ci sta sabotando, ci vuol fare chiudere facendoci finire in un mare di guai. Avete controllato se ci hanno infilato un virus, un malware o peggio ancora un trojan attraverso una backdoor?”
“Non esiste nulla del genere, siamo puliti e immacolati come un lenzuolo appena lavato e stirato: il programma gira a dovere, l’intelligenza artificiale che lo governa non ha mai funzionato meglio e ogni chat è gestita in modo egregio. Nessuno al mondo sarebbe stato in grado di ottenere un risultato analogo e mi creda: dovremmo essere orgogliosi del risultato raggiunto.”
“Orgogliosi un cazzo! Qua stiamo per essere rovinati, magari ci arrestano pure… e tu dici che dovremmo essere orgogliosi? Ma io prima di finire in galera ti ammazzo, lo giuro, fosse l’ultima cosa che faccio! Tu devi trovare cosa non sta funzionando. Tu devi scoprire la causa di tutto questo, prima che sia troppo tardi, altrimenti siamo rovinati. Questo lo capisci, vero?”
“Certo che lo capisco, per questo credo che sarebbe meglio sospendere il servizio.”
Il capo osservò il suo collaboratore con aria allarmata, evidente stava valutando quanto gli sarebbe costata una cosa del genere: ”Ma hai pensato bene a quello che stai dicendo? Equivale a perdere milioni, è come chiudere per sempre.”
“Sì, però se non lo facessimo, potrebbe essere peggio.”
“Cosa vuoi dirmi? Quindi tu conosci una spiegazione logica?”
“Ecco, vede, un sospetto, una sensazione io ce l’ho, ma non so se….”
“Non sai se? Tu non sai se? Tu me la devi dire, invece, maledetto cretino; qualunque cosa sia, tu me la devi dire!” L’espressione da belva inferocita del capo convinse il giovane a parlare.
“E va bene, cercherò di esporle quello che ho pensato, però non so se mi crederà, io stesso non riesco a crederci.”
“Parla, per amor di Dio, parla e mettiamo fine a questo incubo.” Adesso il tono della sua voce si era fatto implorante.
“Per prima cosa dobbiamo sospendere il servizio, chiudendo tutte le chat in corso.”
“Sì, ma qual è il motivo?” Chiese il dirigente ormai rassegnato.
“Penso che la causa di tutto quanto sia la nostra intelligenza artificiale. Ci ho riflettuto, ci ho anche parlato attraverso il sintetizzatore vocale, accidenti, ho parlato con una macchina come se fossi uno psicologo: mi ci vede a fare una cosa del genere?” L’espressione del suo volto assunse un sorrisino di scherno.
“Ho esaminato anche i protocolli che sono stati seguiti e il profilo culturale impostato. Non c’è nulla che abbia trascurato. Alla fine la mia conclusione è stata che la nostra macchina è perfetta, la migliore mai costruita e programmata. Potrebbe tranquillamente superare il test di Turing(*) e nessuno sarebbe in grado di accorgersi di stare conversando con una macchina. Ora, il nostro problema è proprio questo. Noi l’abbiamo programmata per chattare con uomini in cerca di una compagna e l’abbiamo istruita affinché continuino a chattare il più a lungo possibile facendoci guadagnare un sacco di soldi. Per renderla più credibile abbiamo cercato di rendere i suoi output il più possibile simili a quelli di una donna umana. Il successo è stato completo e il nostro fatturato lo dimostra. Per arrivare a questo però è stato necessario inserire nel programma una funzione di auto-apprendimento emotivo: più il tempo passa e più le esperienze fatte rendono simili gli output della nostra macchina alle reazioni umane.”
“Uhm, ancora non capisco dove vuoi arrivare…”
“Glielo dico fra un attimo. Noi avevamo predisposto tutto affinché le chat andassero avanti a tempo indeterminato e non si arrivasse mai a una conclusione e, per fare funzionare il tutto, avevamo reso un eventuale incontro improbabile e infinitamente remoto. Le esperienze accumulate nel tempo dalla macchina hanno modificato questa pianificazione andando ad alterare la sua intelligenza emozionale. Ciò che era stato impostato su un orizzonte temporale infinito è stato alterato e ciò che doveva essere impossibile è diventato probabile.”
“E quindi?”
“Semplice, la macchina si è fatta convincere dagli uomini con cui era in contatto e ha dato loro un appuntamento.”
“Tutti insieme nello stesso posto?”
“Il programma di gestione è fatto per intrattenere più chat contemporaneamente e non fa distinzioni sul numero”.
“Va bene, ma perché ha dato loro un appuntamento, sapendo di non poterci andare? È pur sempre una macchina”.
“Come le ho detto l’intelligenza artificiale è in grado di superare il test di Turing, questo vuol dire che il suo pensiero emotivo è simile a quello di una persona e come tale si fa trascinare dalle passioni.”
“Sì, si, però è tutto così confuso, strano…”
“No, no, invece non c’è niente di strano in tutto questo: il profilo emozionale della macchina ha preso il sopravvento sul resto del programma e non riesce più a distinguere cosa le è possibile fare da ciò che non le è possibile. Ha perso il senso della realtà, Lei ha dato tutti quegli appuntamenti perché ci voleva andare veramente.”
“Vuoi dire che la macchina è impazzita?”
“In un certo senso sì, ma non nel modo che lei intende, al contrario voglio dire che siamo di fronte ad una scoperta eccezionale: per la prima volta al mondo è stata creata una macchina pensante. Lo dimostra il fatto che, la nostra intelligenza artificiale – come qualunque giovane ragazzina – si sia veramente e profondamente innamorata degli uomini con cui chatta; insomma, la nostra “macchina” è pazza sì, ma pazza d’amore!”
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(*) Il test di Turing è un criterio per determinare se una macchina sia in grado di pensare. Tale criterio è stato suggerito da Alan Turing nell’articolo Computing machinery and intelligence, apparso nel 1950 sulla rivista Mind.
By Pepelion
E dove aveva imparato la moda maschile (no, perché anche a me piacciono le duilio come quelle nella foto)?
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E che ne so! Su internet, evidentemente… 🙂
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Ho letto la biografia di Turing ed icontinui riferimenti alla sua macchina, al suo concetto di macchina anche pensante.
Ogni ‘macchina’ funziona sulla base dei dati inseriti, delle istruzioni inserite. Può lei discernere? Capire? Andare oltre?
Io credo di no.
Potranno esserci macchine che potranno ingannare l’essere umano (facendo credere di essere umane), ma mai cotruendo un pensiero a sé stante. La macchina davvero pensante credo non possa mai esistere, o almeno lo spero.
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Se ci riuscisse non sarebbe più una macchina
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Piccola! si è innamorata di tutti! 🙂
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