Ad una persona comune per sopravvivere nella società, servono – pragmaticamente parlando – curiosità, intuizione e iniziativa. Una marcia in più, non da tutti, sono poi l’inventiva e la fantasia, che mica tutti possono avere. Ora, visti i tempi, sono un po’ preoccupato per il futuro dei giovani. Vabbe’, i migliori o i mediocri di “buona famiglia”, problemi non ne avranno mai e diventeranno manager, dirigenti, imprenditori, artigiani di eccellenza; ma, esaurito tale spazio sociale rimarranno gli altri, i più, i meno fortunati, i normali e i mediocri. Cosa faranno, nonostante la loro voglia di lavorare correttamente ed onestamente, nonché – legittimamente – solo per vivere, piuttosto che “vivere per lavorare”?
Invece sembra che oggi ci sia solo più spazio per i fenomeni. Li sentite anche voi, vero, gli imprenditori e gli artigiani lamentarsi di non trovare apprendisti, operai specializzati e periti tecnici. Sono quelli che accusano i giovani di pensare solo alla retribuzione e all’orario, mentre sappiamo bene che non è così, non sono tutti così. Certo, è giusto scardinare il concetto del “posto fisso”, ché ci ha portato alla rovina, ma la verità è che pochi – “umanamente” e sinceramente – sono disposti ad investire sui giovani, per egoismo e perché il mercato è invaso dall’arrivo di ragazzi ancora più disperati, che chiedono meno e fanno comodo a gente senza scrupoli.
Tutto questo non lo affermo “politicamente”, ma laicamente. Perché mi sto rendendo conto che oggi non c’è più posto per l’imperfezione. Vedete, l’imperfezione non è da tutti e, a volte, rappresenta quel “quid” in più, proprio perché il sapere, o pensare, di non essere al pari degli altri, può addirittura diventare un vantaggio strategico, per se stessi e per chi gode dei tuoi servigi, in quanto queste saranno le persone che difficilmente ti tradiranno. Vi dico anche che questo deficit mi appartiene e non me ne vergogno. Non so in quale misura ciò sia dipeso dall’avarizia della natura o generato dalla timidezza: tanto che spesso, per causa sua, ho rinunciato a prendere l’iniziativa, più per paura che per reale volontà. Cosa scambiata dagli altri per pigrizia.
Che poi, a ben vedere, certe volte, l’imperfezione altro non è che il ragionevole margine del dubbio di non sapere se ciò che si vuol fare sia realmente giusto. E proprio il vedere quanta gente s’improvvisa, millantando capacità che – evidentemente – non ha, nel tempo mi ha incoraggiato a fare cose (sempre nell’ambito della normalità) che mai avrei immaginato. Sta di fatto che, in fin dei conti, non sono mai stato “fermo”: ho sfruttato la corrente, con un po’ di fortuna e con delle indubbie doti da “pagaiatore”, che mi hanno consentito di rimanere a galla tra i vortici della vita e del lavoro (ancora prima, anche della scuola).
Sentirsi imperfetti deve essere una sensazione molto simile a quella degli androidi venuti male, quelli che non hanno il comportamento atteso dai tecnici della multinazionale che li ha progettati. Istintiva avversione all’omologazione; quindi, imperfezione come antitesi di competizione. No, perché a me, le cose piace farle per il gusto intimo che mi danno, non per essere meglio di un altro. È in questo senso – tra i vari – che sono molto imperfetto: al punto che so compiacermi della mia mediocrità, magari lontanissima dai massimi livelli, perché è con me stesso che mi misuro, mica con gli altri. A me interessa di più essere unico, piuttosto che il numero uno. Perché se sei unico sei libero, se sei il numero uno non è detto: forse è per questo che, a certuni, interessano gli studi sulla clonazione.
Mi piace molto la conclusione e se essere imperfetti significa non essere omologati allora viva l’imperfezione. E poi, se non sbaglio, nel medioevo dicevano che la simmetria (perfezione artefatta) fosse opera del demonio.
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