Non credevo che avrei mai potuto farlo, eppure adesso sono qui ad un passo dal successo. La leva, con la sua impugnatura di plastica rossa, è pronta e quando l’avrò abbassata, fermerà tutto e sarà il principio della fine dell’era del Sub-Web… O, forse, non funzionerà affatto, tutto resterà come prima ed io sarò morto prima di sera. Certo sarebbe una beffa, dopo tutta la fatica che mi è costata arrivare fino a questo punto; ma un tentativo andava pur fatto e in fondo era l’unica scelta che avevo.
Sono ansioso di avviare il processo, ma esito perché voglio ricontrollare tutto: un piccolo errore potrebbe essere fatale e renderebbe inutile il mio sforzo. Ripercorro una a una le righe del programma, anche se le conosco a memoria, perché le ho scritte io, con pazienza maniacale, nell’arco di cinque anni. Mentre le leggo, capisco che il mio virus funzionerà e fermerà tutto, perché crearlo è stato l’unico scopo cui ho consacrato la mia vita. Devo solo collegare un cavo di rete al mio tablet e abbassare la leva per chiudere il circuito: il resto avverrà da solo perché il Sub-Web verrà a prendersi il mio programma, ne sarà infettato e sarà distrutto. Non è stato facile non farmi scoprire, perché lui controlla tutto e tutti in ogni momento della nostra vita, attraverso i nostri piccoli gesti quotidiani. Qualunque nostra attività, anche il semplice camminare per strada, è sorvegliata. Lui sa tutto di noi e per questo si crede di essere dio, arrivando perfino a decidere chi deve vivere e chi deve morire, in base ad un algoritmo per “calcolare” se un individuo possa avere o meno ragione di esistere. Perché, secondo lui, una persona affetta da gravi patologie o semplicemente priva di un futuro decoroso, deve essere “cancellata”.
D’altronde, nella logica del Sub-Web, le copie virtuali delle persone reali, custodite nei mondi virtuali della rete, sono più che sufficienti a garantire la continuità della specie umana, per come egli la intende ovvero non fatta di cellule viventi. Dal canto nostro, noi abbiamo ormai abdicato le nostre libere scelte, affidando tutto al controllo dei computer. Persino i lampadari di casa, il frigorifero o la lavatrice sono connessi in rete. Tutto è servo-assistito, tutto è programmato, tutto è monitorato. I nostri smartphone sono l’estensione sensoriale che sovraintende alle nostre vite attraverso le connessioni di rete e l’interazione con i social network. Noi crediamo di prendere delle decisioni, ma in realtà siamo guidati nelle scelte attraverso le alternative obbligate che ci vengono proposte, trascurando il fatto che ne esistono molte altre, magari meno convenienti, ma certamente più libere.
Ecco sono pronto, il momento tanto atteso è finalmente giunto. Afferro trepidante la leva con entrambe le mani, mentre mi ripeto che è giusto farlo per me stesso e per il bene dell’umanità. D’ora in poi nessuno potrà più gestire a suo piacimento le nostre vite. Tutti i dati raccolti andranno perduti e gli uomini saranno di nuovo liberi di scegliere e di sbagliare.
Ripenso alle notti insonni passate in una stanza senza finestre, illuminata da poche candele, a scrivere il programma sul mio tablet, privo della scheda di rete, isolato da tutto e da tutti e persino alimentato dalla batteria di un camion per evitare di collegarlo alla rete elettrica ed essere scoperto. Ripenso al mondo di oggi e a quello che sarà la terra fra un momento, quando avrò abbassato la leva. Ho paura, in fondo il domani è sempre un’incognita… E se quello che sto facendo fosse sbagliato? Il dubbio mi tormenta anche adesso, che mi ripeto la stessa domanda fatta già un milione di volte. Ma poi, sento la rabbia montare, violenta, irrefrenabile, mortale, quando mi ricordo degli amici, di cui non ho saputo più nulla e di chi ha tentato prima di me e per questo ha pagato con la vita. Così emetto un urlo atroce, bestiale, liberatorio e, con tutta la forza del rancore che ho in corpo, abbasso di colpo la leva che porrà termine al mio tormento. Infine mi accascio esausto e aspetto.
Apparentemente non è successo nulla, dall’esterno non arriva alcun suono, tutto il mondo sembra tacere, anche il mio tablet si è spento e non sembra avere energie per ripartire. Non che mi aspettassi qualcosa di diverso, ma non sono sicuro del risultato e, improvvisamente, mi scopro ansioso di conoscere le conseguenze del mio lavoro. Così mi precipito fuori dalla stanza, faccio le scale di corsa ed esco in strada. Fuori l’aria è frizzante e il chiarore dell’alba già annuncia l’inizio di un nuovo giorno. In giro non vedo nessuno e anche il traffico sembra essersi fermato. Mi guardo attorno sorpreso, tutto mi sembra irreale, la città e i palazzi non sono illuminati dalle solite luci e da nessuna parte sembra esserci qualcosa che si muove. Faccio qualche passo in avanti, ma mi fermo subito perché i miei passi sul selciato producono un rumore fragoroso: per uno come me, che è cresciuto in mezzo al frastuono di una città, quell’illogica assenza di suoni è assordante e insopportabile. Poi percepisco il frusciare delle foglie al vento e il cinguettio degli uccelli del mattino e capisco di aver avuto successo, perciò alzo la testa, allargo le braccia, come per offrirmi al cielo, e gioisco mentre inspiro profondamente, riempendomi avidamente d’aria fresca i polmoni: alla fine, sono riuscito a fermare quell’immane atrocità.
Un momento dopo mi accorgo di essere spossato e mi accascio a terra come svuotato da ogni energia, vorrei sdraiarmi, rilassarmi, dormire profondamente, ma sento il bisogno di urlare, di annunciare la fine dell’incubo e di dire a tutti che da oggi saranno liberi di scegliere e di sbagliare. Perciò, rianimato, mi alzo e corro verso un posto a caso in cerca di qualcuno cui comunicare la felice notizia. In un attimo sono davanti a un bar, la porta è aperta ed entro. La sala intorno a me è vuota e anche dietro al bancone non vedo nessuno. Mi fermo interdetto, perché non capisco come mai a quell’ora non ci sia nessuno. Poi noto le vetrine vuote e che le bottiglie sugli scaffali hanno tutte le etichette in bianco. Un brivido gelido mi percorre la schiena quando mi accorgo che il liquido al loro interno non ha colore. Poi noto l’espositore delle caramelle sul bancone, afferro una confezione e la apro: trovo delle pasticche bianche e ne metto una in bocca, niente, nessun sapore. Con rabbia le getto per terra e ansimando mi precipito sul marciapiede: alcune auto sono ferme in mezzo alla strada, altre sembrano in attesa davanti a un semaforo spento. Apro la portiera della prima macchina che riesco a raggiungere, ma all’interno non trovo anima viva. Mi accorgo che sono vuote, che tutta la strada è deserta.
Mi fermo, ansimo, sono angosciato e sudato, cerco di frenare il panico che si sta impadronendo di me, mentre con occhi attenti ispeziono tutto quello che mi sta intorno: niente e nessuno… Infine emetto un urlo angosciante, lacerante, disperato. Allora… sono io stesso una copia virtuale… Maledizione, ho vinto la mia battaglia, ma mi rendo conto di aver perso la guerra! Ho distrutto il mio mondo e quello di tutte le altre copie virtuali come me, che il Sub-Web aveva creato per tutti noi, ma… Aspetta… Forse, non tutto è perso… Anzi! Ora, senza di “lui”, sarò io e quelli come me, a governare questo mondo attraverso un nuovo inizio della storia dell’uomo libero. In altre parole, la fine è il principio.
By Pepelion and Papillon
ciao ragazzo, come va, tutto bene?
è sempre un piacere leggere i tuoi sci-fi
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Bimbo piccolo e mamma molto anziana con problemi: sono costretto a sacrificare il blog e non solo. A parte questo, che fa parte della vita, va bene. Un gran piacere risentirti.
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Un racconto pieno di pathos che mi richiama seppure in modo diverso la serie di westworld la conosci!?
Ti ringrazio molto per esserti ricordato di me e del mio piccolo blog e avermi dato la possibilità di leggerti.
sheramentrefuoripiove
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Qui non mi sono dimenticato di nessuno, è che i casi della vita, ultimamente mi impediscono di frequentare il blog.
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Bon cmq grazie…
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Romana d’adozione, ma sto “bon” ti tradisce, “ne”? O ricordo male…
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…torinese 😊
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