Sin da piccolo sono sempre stato affascinato dalle storie di vita raccontate dagli anziani, storie spesso anonime, accadute in epoche lontane, quale – ad esempio – quella della seconda guerra mondiale. L’ultima di queste l’ho scoperta ultimamente da un racconto della mia anziana mamma, alla quale, dopo tanti anni ho potuto svelare i veri retroscena grazie alla rete, perché lei e i nonni, causa il periodo oscurantista nel quale è accaduta, non potevano aver conosciuto.
Siamo nella Modena del 1938, all’alba del varo delle leggi razziali. Tira una pessima aria in tutta Europa. Quella mattina – era un Martedì – la mia nonna prende per mano la sua piccola bambina per andare in quel negozio, a pochi passi dalla torre Ghirlandina, dove vendono le banane e comprarne una alla mia mamma. Sì, perché quella era una leccornia di allora, capace di far contenta una, per avere potuto finalmente comprarla, e l’altra per poterla, finalmente, mangiare.
Giunte quindi ai piedi della torre, sentono improvviso, un violento tonfo. La nonna grida e stringe a se la sua bimba, per proteggerla dagli schizzi di sangue e di brandelli dell’uomo che s’era appena gettato. La nonna quasi sviene, entrambe vengono soccorse ed allontanate, qualcuno sopraggiunge con due bicchieri d’acqua e degli stracci umidi per pulire le scarpe delle due poverette ancora scioccate. Dalla violenta velocità dell’accaduto, la bambina non si è resa pienamente conto dell’accaduto, che avrebbe capito poi, una volta cresciuta, dai racconti dei genitori.
Quell’uomo era un editore filofascista, Angelo Fortunato Formiggini, i cui affari, dopo il fulgido passato economico della famiglia, non stavano andando per il meglio. Soprattutto sarebbero cessati perentoriamente, dopo l’entrata in vigore delle leggi razziali, causa il paradossale fatto che egli era ebreo: laico, ma ebreo.
Sono rimasto molto colpito dalla storia raccontata da mia madre e della quale ho trovato parecchio riscontro su internet, perché è davvero difficile stabilire il reale movente di quel suicidio. Si sa solo che la vittima, secondo uno scritto inviato ad un conoscente, aveva in tasca una lettera per il Re, una per il Duce e molti denari, per far sì che i fascisti non potessero dire che l’aveva fatto per mancanza di denaro. Insomma, dietro questa storia ci sono, a mio avviso, tanti e tali elementi di interrogazione, da farne un soggetto cinematografico affascinante: il rapporto atavico tra gli ebrei e il denaro, la simpatia – assurda – di un ebreo per il fascismo, l’interlocutoria professione, presso la comunità ebraica, di un comportamento meno ortodosso e più laico, da parte del protagonista.
Se vi ho incuriosito, troverete da soli diversi articoli, della cui veridicità ed orientazione non mi interessa disquisire; piuttosto, vorrei sapere quale idea vi sarete fatti voi. Personalmente, ritengo impossibile stabilire con sicurezza cosa abbia realmente pensato il Formiggini, tanto che proprio di questo farei la forza della sceneggiatura che immagino, capace di scatenare il dibattito e stimolare le riflessioni, allo scopo di dimostrare, alla fine della storia, che l’assoluto non esiste e spesso si tratta, in fondo, solo di una questione prospettica.
Certo, che questo signore, attivo ed ironico intellettuale dell’epoca, non aveva compreso bene dove il fascismo ci stava portando. Mediocrità intellettuale o ingenuità? Vai a sapere. Le possibili spiegazioni potrebbero facilmente degradare nella faziosità e questo non lo voglio, per essere chiari. Forse, l’imminenza delle leggi razziali è stata la scintilla, causa del cortocircuito avvenuto nella sua mente, che lo ha condotto a compiere quel gesto estremo.
L’informazione fascista liquidò la questione con la semplicistica causale della difficoltà economica, che bene si addiceva ad un ebreo suicida, per il Regime. Delle lettere e dei soldi che avrebbe dovuto avere in tasca il Formiggini, ovviamente, nessuna traccia e nessuna menzione.
Furono negati i funerali pubblici e nessuna notizia venne data sui giornali del suicidio di Formiggini, un personaggio davvero eccentrico e attivo nella vita culturale della Modena dell’epoca. Il suo atto di protesta estremo fu così vanificato. Amo moltissimo Formiggini e mi sorprende tanto trovare questa storia qui da te e soprattutto la nota biografica così tragica. Sarà stato difficile superare quel momento per tua madre è tua nonna. La lapide che hai messo stansotto la Ghirlandina e significa “il tovagliolo di formaggino” con un gioco di parole dialettale col proprio cognome che l’editore e intellettuale usava spesso. Grazie di aver raccontato questa storia.
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Da parte di madre sono originario di Modena, nato a Torino, dove vivo, perchè i nonni materni, al pari di quelli paterni che venivano da Palermo, erano venuti qui. I primi in cerca di fortuna, i secondi per motivi politici… mio nonno che non ho mai conosciuto era comunista “così!, come il padre di Verdone in “Un sacco bello”… E tu sei di quelle parti?
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Di quelle parti, sì. Da generazioni
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Certo che è la prima volta che sento parlare di un ebreo filo-fascista.
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Non ti dico la mia sorpresa; ci ho messo un po’ a capirci qualcosa, della sua storia.
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Gli ebrei italiani erano molto ben integrati, molti di loro avevano combattuto nella prima guerra mondiale, e ce n’erano diversi che simpatizzavano per il fascismo… ironia della sorte… nella maggior parte dei casi questo non bastò a salvarli dalle conseguenze delle leggi razziali!
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Non è facile comprendere le ragioni profonde della storia mentre accade. Molti elementi ci vengono nascosti; spesso anche dopo molti anni ci si arriva, in fondo, solo per deduzione.
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