“Tanti anni fa, da queste parti, viveva un gaucho. Il suo nome era Pedro: mezzadro e fattore, sapeva fare tutto ciò che serviva per sopravvivere in queste terre sconfinate. La casa dove viveva, con la famiglia, era di mattoni fatti di fango aggregato con leganti vegetali, semplicemente essiccati al sole. Le pareti erano ricoperte d’intonaco bianco, ormai tutto imbrattato dalle pedate di chi si appoggiava con gli stivali e dalla terra smossa dall’andirivieni sullo sterrato intorno alla casa. Porte e finestre, fatte di scuri di legno senza veri e propri battenti, si accostavano lasciando sempre alla luce uno spazio per insinuarsi tra le fessure. Il tetto, che aveva la struttura di legno e le tegole rosse a vista anche dall’interno, poggiava sui muri, lasciando un’intercapedine tutt’attorno, dalla quale passava l’aria fresca e da dove, di tanto in tanto, qualche geco faceva capolino. Fuori, nel cortile in terra battuta, Libre, il cane sonnecchiava pigro sotto una lama d’ombra e le galline razzolavano lente entrando e uscendo a piacimento dalla casa, gironzolando a piacimento, sul pavimento non rifinito dell’abitazione, la cui porta non rimaneva mai chiusa.”
Nell’estremo nord della Pampa argentina, un uditorio stava ascoltando attento e rispettoso il racconto di un uomo che parlava con voce pacata: “Di parecchi anni più giovane, la moglie (carina e poco curata) accudiva la casa, l’orto e le galline, preparava la colazione al suo uomo e lo svegliava alle tre e mezza del mattino, per andare a mungere le mucche, quando era ancora buio. Una volta alla settimana, alla medesima ora, lui usciva per andare a caccia di qualche piccolo animale, che lei avrebbe poi cucinato. I bambini erano quattro, sempre scalzi, di cui l’ultimo quasi sempre nudo, e non erano mai andati a scuola; nonostante tutto ciò, la giovane sposa era nuovamente incinta. Del resto, quando l’unica opzione è la terra, si dipende dalla propria fatica e le braccia sono tutto ciò che serve.”
“Così avevano insegnato a Pedro.” Aggiunse l’oratore, mentre il pensiero di ognuno dei presenti riconosceva, in quelle parole, la storia della propria terra e dei propri avi. “Le sue giornate trascorrevano all’aperto, ripartite tra mandria, cavalli e la piantagione di mais, a bruciarsi la pelle, ormai solcata da profonde rughe, nonostante il cappello per proteggersi dai raggi del sole. Col trascorrere del tempo, arrivata la sera, sempre più sentiva la stanchezza fargli male al cuore, ma Pedro non aveva vizi ed era devoto a Dio, rispettoso dei santi e delle superstizioni popolari, sopportava tutto, perché questa era la sua vita.” Mentre alcuni visi, illuminati dalla luce che filtrava delle vetrate della chiesa, dove si svolgeva la funzione, si interrogarono sul perché di quel racconto, proprio nel giorno del funerale di Donna Ines, l’uomo continuò: “Arrivava poi il giorno del macello, quello più odiato da Pedro, quando il padrone ordinava i tagli di carne, quasi tutti per sé…”
“Il macello era da sempre quel posto col pavimento di mattonelle rosse, per minimizzare l’impatto cromatico del sangue, e le pareti con le piastrelle bianche, per mantenere il fresco e dare l’aria di pulito. In alto spiccava il soffitto, in calce bianca, appena nascosto da una selva di binari in ferro annerito dal grasso, con innumerevoli ganci, per appendere le carcasse degli animali morti da portare nelle celle frigorifere. L’aria, maleodorante, era pervasa da una miriade di mosche, attirate dall’olezzo del sangue.” Qui, l’uomo, fece una breve sospensione, poi continuò: “Nei macelli si respira aria di morte e straziante supplica di vita. É nei macelli che capisci che Dio ci ha creati tutti uguali: animali e uomini, perché di fronte all’odore della morte spariscono le differenze e si uguagliano i sentimenti, le emozioni, i diritti. Su questo, Pedro ci rifletteva spesso. Suo malgrado doveva portare gli animali all’ingresso della corsia con le sbarre di metallo, che freddamente costringevano le mucche ad avvicinarsi alla paratia, da dove si sentivano i muggiti strazianti e l’odore acre del sangue. Dall’altra parte invece stava lui, il boia, lo stesso gaucho che a cavallo le accompagnava nei pascoli. “
“Un giorno entrò nel mattatoio e, dopo avere comandato l’apertura della paratia, riconobbe Dolores: istintivamente la chiamò a sé, con la stessa dolcezza con cui l’aveva nutrita e munta, mentre i loro sguardi si incrociavano senza bisogno di parole, interrogandosi entrambi sul perché quel sentimento, che li aveva legati, dovesse essere tradito. Non indugiò, pose il pugno chiuso con il pollice disteso sulla fronte della povera bestia ed abbozzò il segno della croce, in un estremo tentativo di dare dignità alla vita, senza distinzione. Un attimo dopo, un colpo secco e perentorio fermò il cuore della povera creatura, che crollò prima sulle ginocchia e poi a terra: tre rumori sordi e pesanti che corrisposero ad altrettanti colpi, che segnarono il cuore del gaucho. Il giorno seguente, mentre lavorava sotto il sole a picco nei campi, qualcosa in lui era cambiato e sentì il bisogno di fermarsi da quello sforzo e, con lui, anche il battito cardiaco, come mai era accaduto prima. Un attimo, un dolore forte, il bisogno di slacciare la camicia intrisa di polvere della terra e di sudore. Si accasciò e slacciò i pantaloni, nel disperato tentativo di riprendere il fiato che gli stava mancando, ma il suo boia fu più crudele e, prima di chiudere gli occhi per sempre, gli lasciò il tempo di percepire Libre che guaiva vicino a lui, di pensare ai suoi bimbi, alla moglie e agli occhi imploranti di Dolores, ancora impressi nella sua mente. Così morì Pedro, con Libre al suo fianco e nella polvere della terra che sempre aveva amato.”
Solo a quel punto, il reverendo abbandonò la voce narrante, riappropriandosi del ruolo che l’abito indossato gli conferiva e prese a parlare in prima persona alla propria comunità: “Ecco, quella che vi ho raccontato, è la storia che ho ascoltato tante volte dalle labbra di Donna Ines, mia madre, la donna della quale sono qui, – oggi – a celebrare il funerale.” I parrocchiani furono colti dallo stupore nell’apprendere chi fosse quel giovane prete, appena giunto in quel posto sperduto, direttamente dal seminario. Là era stato cresciuto, perché la madre ce lo aveva mandato giovanissimo, non sapendo come fare per tirarlo su.
“Questo fu il modo in cui mia madre cercò di restituirmi il padre che non avevo mai conosciuto, raccontandomi una storia crudele, come è la vita per quelli come noi, ma che facesse di lui, ai miei occhi, un uomo particolare e spiegandomi che la morte non è mai una punizione divina, ma anzi, un lascito dal valore inestimabile per chi resta. E come avrebbe potuto non essere così, per un uomo di tale semplicità e sensibilità? A me è sempre piaciuto crederci, a questa storia ed all’amore che ha mosso mia madre a raccontarmela. Un amore che oggi ho voluto spartire con voi, per raccontarvi quello che è stata Donna Ines, per me e per i miei fratelli. Perché quello che lei ci lascia, come eredità della sua povera vita, non sono ricchezze, ma un solo messaggio da condividere, semplice e antico, di una forza che non ha eguali: di fronte all’amore e alla vita non ci sono razze o generi, siamo tutti uguali, uomini e bestie.”
Il racconto è straordinario, talmente “vivo” che il passaggio dell’uccisione di Dolores mi ha fatto tremare.
Complimenti.
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Grazie. La storia del segno della croce è vera. Me l’hanno raccontata in sud america tanti anni fa, come tante di quelle storie misto tra realtà e leggenda, come si sentivano anche da noi nelle campagne tanto tempo fa. Mi è sempre rimasta in testa, così ho immaginato questa storia.
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Davvero bella.
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Un bellissimo racconto. Mio nonno era nato in Argentina e cresciuto nella Pampa. Venne in Italia durante i primi anni ’20. Ricordo i suoi racconti, da bambina, sulla Pampa e sui gauchos, compreso quello del segno della croce
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Grazie, mi fa piacere. Io ho ascoltato dei racconti dai quali ho tratto degli elementi che componedosi con il poco che ho visto di America Latina, in maniera inconscia mi hanno fatto immaginare questa storia… alla fine mi sono perfino stupito.
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Scusa, il tuo blog è realmente fermo al 2017?
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Praticamente sì, ho postato qualcosa a fine 2018 ma solo musica, direi.
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Bellissimo.
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