Passioni (musicali) inconfessabili di un truzzo degli anni ‘80

Ebbene sì la tradivo. Come chi? La New Wave, cosa pensavate! Con chi? Ritchie Family e Donna Summer, Giorgio Moroder ed i Kraftwerk, per non parlare della Disco Music dei Boney M e Patrick Hernandez… roba da “I migliori anni” di Carlo Conti. Nel periodo di cui vi parlo, nella classifica italiana dei 45 giri, quasi non c’erano stranieri e, non dico del  Punk o della New Wave, ma addirittura del Rock non vi era traccia!

In Italia, in quegli anni – che vanno dal ‘76 all’86 – il fronte della musica popolare e tradizionale era ancora forte e capace, per esempio, di relegare Vasco Rossi all’ultimo posto in classifica a San Remo. Posto questo, son ragionamenti che non si dovrebbero mai fare: per ogni generazione e per ognuno di noi, sono fasi, momenti legati all’epoca o all’età e ci portano a mettere dei confini dove, in realtà, non ce ne dovrebbero essere.

Comunque sì, lo ammetto, ho avuto dei rapporti occasionali non protetti, ma indimenticabili: una canzone sola, una botta e via, come se quella fosse l’eternità, poi destinata a svanire col sorgere del sole del nuovo giorno, perché quella persona, come quella emozione, non la rivedrai mai più.

Correva l’anno 1976 quando una nota (in Francia) modella, Chantal Benoist, pubblicava, col nome d’arte Jennifer, il brano disco music, “Do it for me”. Brano semplice, orecchiabile e facile da ballare. Lei, sensuale ed ammiccante, si esibiva sempre con dei vestitini attillati, che attizzavano il mio acerbo ormone. Altri tempi: una sensualità perfino tenera (ne parlavo anche qui).

Sempre nel 1976, il gruppo di rock elettronico Rockets pubblicava “Future woman”, canzone costituita da un impasto di sonorità incalzanti ed, a mio avviso, ben amalgamato da effetti elettronici innovativi ed originali per l’epoca. Debolissima nel testo, adatto al target del loro pubblico, la canzone parlava di una donna del futuro, di un pianeta sexy, resta un bel pezzo rock tutto da ballare.

Sono in difficoltà nel commentare questo brano del 1977, eseguito dalla Michael Zager Band ed intitolato “Let’s all chant”, perché – seppur basato su una buona idea, per un pezzo disco music senza pretese – risulta nel complesso fiacco, quasi incompiuto. Unico reale punto di forza, le scollature delle ballerine del video che lo accompagnava e che all’epoca in Italia fu censurato. Ecco, forse, bene testimonia, anche con la fotografia tipica dell’epoca, il cambio del costume, del resto sdoganato in Italia, appena un anno dopo, dalle prime tette in televisione: quelle della ventenne – ancora sconosciuta – Barbara D’Urso, nella sigla iniziale del programma Stryx, su Rai2 (fonte mia, ma quante ne so…). Peccato che la nota presentatrice abbia dovuto smettere di usare le tette ed abbia iniziato ad usare il cervello: nettamente superiore il livello delle prime.

Nel 1979 escono i due pezzi che, a mio avviso hanno cambiato il pop, anticipando gli anni ‘80, anche sotto l’aspetto del consumo e dell’avvento della tecnologica, oltre che del suono. Aspetti che oggi, all’alba degli anni ‘20, sono giunti a compimento, prevaricando la centralità del suono, che dovrebbe essere l’essenza della musica. Interpreti sono stati due gruppi, poi spariti in breve tempo dalla scena, ma che  a mio avviso hanno lasciato il segno: i Buggles con “Video killed the radio stars” e gli M con “Pop muzik”.

Sulla scia di Fred Buscaglione, senza averne lo spessore, ma certamente l’ironia, nel 1980 troviamo Pino D’Angiò con “Ma quale idea”, brano che alcuni annoverano come primo esempio di rap italiano; se non lo è, sicuramente con questo pezzo D’Angiò è stato l’artefice della diffusione delle sonorità funky presso il pubblico italiano musicalmente più distratto e qualunquista. Ah… eppure ci si atteggiava così, sigaretta in una mano e l’inseparabile Negroni con ghiaccio tintinnante nell’altra.

Sin d’allora lo trovavo buffo, ma comunque con un suo “perché”; si tratta del cantante austriaco Falco, rimembranza delle mie escursioni in discoteca nella Mitteleuropa del tempo. Siamo nel 1981 ed il pezzo è  il mitico “Der kommissar”, che però avrebbe meritato un video migliore, all’altezza del primo posto in classifica, che raggiunse anche da noi.

Come dicevo, erano per me gli anni delle vacanze in giro per l’Europa negli ostelli e degli spostamenti in treno con l’interrail, quando nel 1982 il Trio tedesco cantava “Da da da”, che ancora oggi trovo estremamente originale nella sua ipnotica minimalità, o no?

Sempre nel 1982, il gruppo rock tedesco degli Spliff, con un brano cantato in un italiano maccheronico, ci offriva uno spaccato di come l’Italia veniva vista dall’estero. Certo che si trattava di luoghi comuni, ma tutto sommato – nel bene e nel male – è quello che siamo, e non mi sento di dargli torto, anche se i Crucchi ci mettono sempre un pizzico di senso di superiorità nel dirlo. Comunque ai mondiali di Spagna di quell’anno li abbiamo bastonati e mandati a casa. E non sarà nemmeno l’ultima volta.

Tra i ritmi funky-dance ipnotici sicuramente merita menzione “Last night a DJ saved my life” del 1983 a firma Indeep, che bene abbina la sensualità del sound al prototipo di truzzetta sexy del periodo.

Sempre nel 1983, a conquistarmi anche è la teutonica rockstar Nena, con “99 Luftballons”, il cui testo è di un certo Carlo Karges e parla dell’acquisto di 99 palloncini, che vengono liberati in aria, ma che, intercettati da un radar, sono scambiati per un attacco dal cielo da parte di una forza aliena. Per questo motivo, un generale dà l’allarme e l’ordine di abbattere questi oggetti non meglio identificati. E ci si stupisce che tutto questo “trambusto” sia potuto accadere soltanto a causa di 99 palloncini. Ad ispirare l’autore del testo fu un concerto dei Rolling Stones tenutosi a Berlino Ovest, al termine del quale furono lanciati in aria migliaia di palloncini che, una volta saliti, sembrarono quasi assumere la forma di un’astronave. Karges pensò quindi a che cosa sarebbe potuto accadere, in clima di Guerra fredda, se anche al di là del muro avessero avuto la sua stessa impressione e prese così lo spunto per comporre un brano contro la guerra. Fin qui le info tratte da Wikipedia. Questo pezzo era davvero accattivante e lei una ragazza carina, che col tempo, oltre ad essere diventata una bella donna, ha avuto anche una bella carriera come cantante.

Con i Cameo di “Word up” del 1986 si conclude questa carrellata di canzoni, da collocarsi fuori dagli spazi “colti” del rock e della musica black, che a volte mi vanto di ascoltare (senza in realtà capire un cazzo). Qui, comunque, tutto si può dira, ma non si può negare che ‘sto pezzo trasmetta una grande voglia di ballare, come quasi tutti i pezzi che vi ho descritto: almeno, lo spero. Non dico di esservi esibite e strusciate contro un palo cromato o di esservi esibiti in movimenti pelvici alla Elvis o Michel (a suo tempo altrimenti definiti  “fucking movie”, usando una forzatura linguistica anglosassone); se non così, dicevo, spero almeno di avervi fatto battere il piedino sul pavimento. Ah, comunque il guscio rosso indossato dal protagonista è una vera e propria chicca, che son certo cercherete di procurarvi quanto prima.

Concludo con un commento sulla copertina, che mostra il mio tipico “outfit” truzzo dell’epoca con il mio inseparabile walkman: magari non ero figo come lui (Michael J. Fox di “Ritorno al futuro”), ma sicuramente più alto.

14 risposte a "Passioni (musicali) inconfessabili di un truzzo degli anni ‘80"

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  1. ah, che tempi! i Rockets li ricordo bene, così come Pino d’Angiò (anche perché ogni tanto su radio Italia anni ’60 lo fanno sentire _ a casa mia si sente solo quella, per dire come siamo messi _) Stryx anche lo ricordo bene, e mi fa pensare che la televisione di quei tempi era più innovativa e meno volgare di quella di adesso. Che quella fosse Barbara d’Urso però non l’avevo realizzato, si è mantenuta abbastanza bene (fisicamente). 🙂 personalmente non frequentavo le discoteche ma la musica disco impazzava, e quelli che hai citato all’inizio erano mitici. Si, oggi roba da “I migliori anni…” ma forse perché effettivamente è così…

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  2. Io non sono mai stato attratto dalla “disco music” anni ’70 e dalla black music che tanto ha fatto ballare non solo gli italiani in quegli anni.
    Per qualche strano motivo mi sono avvicinato alla musica inglese solo quando la deriva “pop” “new wave” “elettronica” ha preso piede, rimanendone affascinato. Niente Boney M & compagnia, per me, ma musica più elaborata. Meno “basso che pompa” e più “tastiere”.
    Ovvio che non si può catalogare tutto, e una canzone poteva (e può) piacermi anche oltre al genere musicale.
    Molte di quelle che citi nei video mi piacciono: da Word Up, a Nena, dai Buggles fino al formidabile Falco, dal video “migliorabile” ma dal sound inequivocabile.

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  3. ciao ragazzo, tutto bene?
    bellissima escursione nel decennio del cambiamento musicale e delle abitudini degli Italiani, sono del ’57, ci sono stato dentro fino al collo, l’avvento delle discoteche e quindi della disco-music è stata una svolta epocale. Non sono un esperto di musica ma alcuni brani li riascolto volentieri a distanza di 40anni. Sulla musica Italiana c’è poco da dire, sono decenni che non si producono canzoni “storiche”, tranne qualche eccezione. La differenza in negativo, secondo me, è figlia di due fattori, non ci sono più autori in grado di prendere la residenza nel cervello della gente, Sanremo è diventato, da tempo, un trampolino per giovani sconosciuti (riesumati a parte). Canzoni che si dimenticano in uno stormir di fronda.

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    1. Bene. Io 1961, e siamo lì. Io son tornato ad ascoltare musica. Abbonato ad i-tunes ho a disposizione un juke box infinito ed una sorgente musicale di ottima qualità. L’avessi avuta da ragazzo, ma sto recuperando esplorando gli anni 60 che motivi anagrafici conoscevo poco. Tutto parte ed evolve di lì, il resto è come dici tu. A presto.

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  4. Ti dico solo che la mia personale playlist quando vado a correre è interamente dedicata agli ELO, che insieme ai Supertramp restano “la” musica della mia adolescenza (anche se ricordo molto bene anche diversi dei pezzi che hai messo tu)

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