Lei ingegnere, lui impiegato, entrambi nella fascia dei 40 anni. Quindi, buona cultura e buona posizione sociale. Parlano di separazione. Possono permettersi una pausa di riflessione vivendo in case separate. In quel momento i figli sono con lui per una breve vacanza, e lui – dopo averli soffocati – fa un messaggio alla moglie, dicendole “non li vedrai mai più”.
La prima domanda che mi pongo è se quest’uomo fosse, anche solo apparentemente, sano di mente e non avesse mai dato segni di squilibrio. Con tale premessa, potremmo parlare di raptus. Ma, soffocare i figli per colpire lei, mi pare un gesto premeditato, perché un raptus, invece, me lo immagino fatto d’impulso contro la causa diretta del torto che ritengo di avere subito.
Oppure no, forse in conseguenza di quel bellissimo soggiorno con i bambini e l’idea di non poterlo più fare in futuro – né da padre separato, né come famiglia, chissà – l’uomo è stato colto dal raptus. Non lo sapremo mai, perché l’uomo si è suicidato. Tanti i casi di cronaca come questo, perpetrati da un uomo che ha perso il suo ruolo atavico nella società del passato e non ha ancora saputo trovare il nuovo equilibrio con se stesso nella società odierna.
Tuttavia, se la nostra trasformazione (degli uomini) é atto evolutivo dovuto, c’è una cosa che voglio dire: bisogna anche riequilibrare le cose. Una donna, che non si sente sotto minaccia, sa che la legge gli consente di sbarazzarsi del marito senza problemi, con la garanzia di tenere i figli ed avere del denaro. Quella donna mi dirà che il marito è uno stronzo. Ecco, quando chiedo di riequilibrare, vorrei che fosse scardinato questo assioma: il marito non è sempre e per forza uno stronzo.
Sapete cosa penso? Penso che questo assioma si basi sul considerare stronzo colui che la pensa diversamente, invece di considerare tale colui che lo è. Dico questo perché in troppe discussioni con le donne, ho potuto rendermi conto del diverso modo di assegnare la priorità alle cose, come lo può essere, per esempio, l’atteggiamento da tenere con i figli.
Non c’è un comportamento giusto ed uno sbagliato: sono approcci diversi, per aspettative diverse e scopi diversi. Solo che quelli dell’uomo non si rispettano. Da uomo vi dico: se nel banale quotidiano non facciamo ciò che dite, non è perché non ascoltiamo (voi donne) è proprio perché non ce ne fotte una minchia e per noi quella cosa non interessa come approccio, aspettativa o scopo. Perché dovremmo cambiare? La storia è vecchia: l’uomo vorrebbe che la donna non cambiasse mai, povero… la donna invece vorrebbe che l’uomo cambiasse, ma è stata più furba: è riuscita a farlo mettere in legge.
Non intendo – ovviamente – derubricare il femminicidio, ma dire che lo stato di questa cosa mi fa paura, perché, messi all’angolo, senza via d’uscita, se non siamo (noi uomini) psicologicamente equilibrati e così resilienti da prepararci a sopportare un ingiustizia per tutta la vita, tutti noi possiamo perdere il controllo. Seguendo questo filo, l’uomo dell’orribile delitto – e tanti altri come lui – può essere chiunque, possiamo essere tutti, posso essere anch’io.
La legge dovrebbe sempre tutelare il più debole.
Il più debole fisicamente, il più debole economicamente, il più debole per motivi di età.
La “colpa”, nelle separazioni, va valutata con attenzione ma sono molto più importanti le conseguenze, che le colpevolezze.
Male mettere sul lastrico uno dei 2, ma molto male anche non garantire la sicurezza fisica e psicologica della parte più debole, che nella maggior parte dei casi è la donna.
Quanti ex moglie uccise? Decisamente troppe. Non bastano le leggi come deterrenti. E’ la cultura ad essere sbagliata, ed il percorso per un equilibrio – che auspichi anche tu – lo vedo molto difficoltoso.
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Senza un nuovo equilibrio non si va da nessuna parte; e bisogna cercarlo assieme, uomo e donna. A noi il compito arduo di non cedere alle provocazioni e a non reagire, in nessun caso.
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Non so…è talmente una tragedia assurda che è difficile fare un commento. Senza dubbio, se non proprio matto, sicuramente non era una persona equilibrata. Seguo il tuo ragionamento e in effetti la società ci assegna dei ruoli spesso prestabiliti ed è difficile dimostrare di essere diversi. Però da qui ad uccidere i propri figli e ammazzarsi ce ne passa….
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Quello che dici è l’aspetto più inquietante. Ho un amico-collega, divorziato, con una figlia di 20 anni che gli è stata messa contro che la settimana scorsa nella chat del “fu” calcetto ha detto di volerla fare finita. Quanta solitudine… gli è rimasta solo la chat del calcetto… insomma, rapido tam-tam ed è partito uno da casa per andargli a fare compagnia… per stavolta non ha fatto cazzate.
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E’ difficile ragionare partendo da questa tragedia, come da tragedie simili. Pazzia, egoismo, rivalsa? Uccidere i figli è contro la natura umana, contro qualsiasi natura direi; uomo esasperato, impaurito dal non poter più vedere i figli (non gliene è fregato molto, pare, e comunque non sarebbe successo), o solo incapace di accettare che il suo matrimonio stava finendo e la persona che considerava evidentemente “sua” lo stava lasciando? Il rapporto uomo-donna, moglie-marito ha bisogno di molta manutenzione, di attenzione, a volte semplicemente non funziona più e forse bisognerebbe riflettere di più su questo semplice fatto. Certo ci sono situazioni in cui la donna si “approfitta” del fatto che i figli saranno affidati a lei (ma non sempre: dipende se c’è colpa nella separazione o no) e ricatta con questo l’ex marito usando i figli come arma; ma le cronache ci dicono che in genere sono gli uomini a non accettare la separazione, specialmente nel momento in cui la “ex” si sta rifacendo una vita. Non so, a me pare che l’equilibrio ancora penda da una parte…
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Ovviamente non si deve generalizzare e la mia è un osservazione parziale. Un aspetto, che vale in alcuni casi, ma che esiste.
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La verità è che le parti si sono invertite, ormai è l’uomo l’anello debole della catena, il quale percepisce, a torto o ragione, di non avere via di scampo in caso di separazione. Molti sono terrorizzati dal futuro che li attende e non riescono a vedere oltre il buio del momento del distacco. È la disperazione che li spinge a gesti estremi accanto alla percezione di aver perso il ruolo guida che buona parte della società ancora gli attribuisce.
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