La giustizia ingiusta

La verità negata è un film del 2016 che ho guardato un po’ di tempo fa; racconta la storia di Deborah Esther Lipstadt, una storica statunitense, studiosa dell’ebraismo e del negazionismo dell’Olocausto. Nel libro, Denying the Holocaust del 1993, la Lipstadt accusò David Irving, noto ed apprezzato storico inglese, di aver diffuso notizie false sullo sterminio nazista degli ebrei: affermazioni delle quali fu chiamata a rispondere, al cospetto di un tribunale britannico nel 1988, dallo stesso Irving.

Dato che per il sistema inglese non si è innocenti fino a prova contraria, la Lipstadt ha dovuto organizzarsi per dimostrare di essere innocente. Il che si è tradotto, per lei, nel dover trovare le prove, da portare a processo, che degli ebrei erano stati ammazzati con il gas ad Auschwiz. Ciò ha significato che memoria e testimonianza non potevano avere valore processuale, ma dovevano invece essere portate delle prove oggettive.

Difficile per l’imputata rinunciare a combattere, col cuore impavido, per una giusta causa, in favore del suo popolo (essendo americana di origine ebrea), nonché vedersi negare, da chi la rappresentava, la possibilità di portare a processo le testimonianze dei sopravvissuti.

Fatto sta, che uno straordinario gruppo di avvocati, da lei ingaggiato, si è messo a investigare su come lo storico Irving avesse costruito le sue tesi, destrutturando i suoi ragionamenti, per trovare gli errori, e recandosi sul luogo del delitto (Auschwitz) a raccogliere le prove degli omicidi, evitando ogni riferimento all’Olocausto o a Hitler ed al Nazismo. Insomma, trattando il caso come un qualsiasi – seppur efferato – crimine.

La causa fu vinta, ma – nonostante il lieto fine ad appagare lo spettatore – il mio smarrimento da uomo della strada, di fronte all’istituto della giustizia, rimane. Insomma, giustizia era fatta in quel caso, ma a vincere era stata la tecnica e non un giudizio appropriato che tenesse conto dei valori.

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Guarda caso, proprio di questi tempi, ci troviamo nel bel mezzo di un epoca di sistematico revisionismo processuale: ogni giorno sui quotidiani si legge di qualche famoso caso giudiziario, per il quale viene richiesta la riapertura, alla luce di “nuove“ prove. Così, spesso, la forza e il potere della “tecnica” difensiva prevaricano lo spirito dell’impegno “solenne“ dell’ordine, al servizio del malaffare e di chi è in grado di permettersi di pagare gli avvocati più scaltri. La tecnica del ragionevole dubbio viene protratta all’infinito, sì che nessuna sentenza valga più del tempo necessario a costruire delle nuove prove.

Nella mia ingenuità, mi angoscia constatare che la giustizia creata dall’uomo non sia una questione etica o morale e che la verità stessa non sia reale, ma – bensì – solo la definizione di un apparenza. Io sapevo che la tecnica si applica alle scienze, dove alla base ci sono la matematica i calcoli e i numeri; purtroppo, se la si applica ad altre discipline umane, dove l’uomo – nel suo significato più ampio – dovrebbe essere al centro, non se ne ricava nulla di buono e si finisce per fare del male alle vittime dei reati.

Che stupido, io pensavo che la giustizia non dovesse fare del male a nessuno, nemmeno al reo, il quale – se “umano” – dovrebbe trarre gratificazione dal fatto di poter saldare un debito, o ripagare un torto, compiuto nei confronti dell’uomo, della società, dell’umanità o della vita in generale. Qual è mai l’impegno solenne di una categoria che non agisce per rieducare, tramite la pena comminata, ai valori della società alla quale appartiene? Quale giustizia rappresenta? Una giustizia ingiusta.

Informazioni tratte da “My Movies” e “Wikipedia”.

3 risposte a "La giustizia ingiusta"

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  1. La giustizia ingiusta è proprio quello che purtroppo condisce questo nostro paese. Se riuscirò nel mio intento, entro fine anno pubblicherò un libro che racconta di come la giustizia viene manipolata, raggirata, e usata a proprio uso e consumo. Tratto da una storia vera che dura da 13 anni.

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  2. Giustizia è un termine vago.
    Esistono le leggi degli uomini, e chi tenta di applicarle.

    Esempio: proprio oggi per omicidio stradale un tipo ha avuto 8 anni di condanna con rito abbreviato.
    8 anni per 4 persone morte.
    Pochi? Pochissimi?
    Ma la COLPA di una pena “leggera” non è certo del giudice, che applica leggi scritte in Parlamento, ed applica lo conto di pena per il “reo” che chiede il rito abbreviato.

    Dunque, dove sta l’errore?
    Nella legge scritta male, o in chi la applica alla lettera?

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    1. Per me l’errore è maggiormente di chi la applica. Applicare alla lettera è da stupidi. Io di mestiere devo fare applicare dei capitolati tecnici e ti garantisco che se non ci metti buon senso alle volte fai danno. Anzi dall’applicazione del buon senso nascono i miglioramenti.

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