
L’altro giorno, la combriccola del caffè si ritrovò alla macchinetta come ai bei vecchi tempi. Be’, come ai vecchi tempi fino ad un certo punto, perché i loft dell’openspace, a causa dello Smart Working, avevano ormai assunto l’aspetto di un paesaggio spettrale, quasi post nucleare. Nonostante ciò, gli antichi vizi non erano scomparsi, per cui – osservando le nuove regole del distanziamento sociale – ci ritrovammo nell’area relax ognuno a selezionare a turno la propria bevanda, mentre, come al solito, il ladro di merendine studiava famelico il distributore di cibi, per fottere l’ennesimo sacchetto di arachidi mal posizionato, con uno dei suoi abili colpi da biliardo.
Qualcuno, ammiccando verso Teo, con un sardonico sorrisino, proferì: “Ti sei perso la tipa in minigonna, durante il tragitto di ritorno dalla mensa…” “Capelli corti, carnagione chiara, che senza calze contrastava con la minigonna nera e gli stivaletti tigrati…” continuò lui lasciando la frase in sospeso, soddisfatto di avere rintuzzato quel sorrisino beffardo. Che dire, Teo era maestro nella specialità di far cadere l’occhio. Con la pupilla volta a mezzogiorno era in grado di cogliere dettagli su atteggiamenti, abbigliamento e nudità, da ore otto a ore sedici, senza destare sospetti. A modo suo era dotato di poteri soprannaturali.
Passato qualche secondo di un generale silenzio carico di significati, si rivolse verso di me, con quel suo atteggiamento mesto e al tempo stesso compiaciuto e pronunciò – accompagnandola con un lieve sospiro – una delle frasi per cui andava famoso: “Lo so, forse esagero, ma – vedete – io mi posso definire un voyeur gentiluomo.” “Come, scusa!?” L’apostrofai di botto. Il tono della mia battuta secca, catalizzò l’attenzione degli altri. Nel gruppo si fece di nuovo silenzio e tutti, dopo il lampo, si misero in attesa del tuono.
“Non è tanto perché faccio cadere l’occhio… è per come lo faccio cadere… non si rompe.” “Ma che cavolo stai dicendo?” “Devi controllare i muscoli facciali, la postura… Non c’è pericolo che una dirigente scolastica intervenga.” “Ah, stai parlando di quella polemica sulla minigonna riportata sui giornali…” “Sì, l’avete letto l’articolo di quella scrittrice, su La Stampa? Per quella è vietato associare l’abbigliamento alla identificazione di genere, alla seduzione e alla provocazione. Anzi, per lei, il farlo è bastevole per accostare la questione ai fatti violenti. Minigonne, spacchi, tacchi, scollature sono espressione di femminilità, il che non significa disponibilità; tuttavia, se eccessivi ed esibiti in luoghi di studio o lavoro, sono fuori luogo e, ragionando allo stesso modo, possono essere anch’essi considerati violenza.”
“Teo, ci dobbiamo rassegnare e lasciare spazio a un nuovo genere di maschi mutanti, che non buttano mai l’occhio… Mai!” La pausa, posta al termine della frase, fece capire agli altri che l’argomento era stato esaurito ed era ora di tornare al lavoro. Teo stesso fece la mossa di andare, come avviene quando, in fondo, il tema non è poi così importante. Ma improvvisamente, un ultimo fremito lo colse e lo fece bloccare di scatto, arrestando l’intero manipolo: “Ma si, che cazzo ce ne fotte, la scuola serve a insegnare, no? Noi siamo un virus inguaribile, il consiglio della dirigente scolastica avrebbe potuto essere un vaccino, invece il monito della scrittrice – politicamente correttissimo – sarà come l’applicazione dell’immunità di gregge.” Mentre si incamminava, solitario lungo il corridoio, rimanemmo tutti attoniti a riflettere, cercando di decifrare quel suo pensiero e lui, evidentemente soddisfatto dell’effetto ottenuto, senza voltarsi aggiunse: “Così, come è sempre stato.” A quel punto il pivello, che fino a quel momento era rimasto in rispettoso silenzio, ebbe un’illuminazione e, sorprendendo tutti, con il suo inequivocabile accento siciliano sentenziò: “Minchia! In pratica ha detto che le donne si devono svegliare…” Teo, ormai lontano, ma chiaramente divertito da quella semplice constatazione, sollevò la mano col pollice all’insù e, senza voltarsi, concluse fiero a voce alta: “You got it!”
Ciao, sono Filippo del blog LeMieCose. Ho una nuova rubrica per articoli e racconti brevi, avendo gradito particolarmente questo vostro, potrei ribloggarlo sul mio sito con tutti i riferimenti e le attribuzioni necessarie?
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Direi che non ci sono problemi. Va bene.
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Grazie, dopodomani pubblico alle 21
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Ma è stata una dirigente donna a protestare, i professori maschi non avevano protestato.
Un po come nella canzone di Bocca di Rosa.
Io guardo.
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Non facile valutare, si può passare per maschilisti, oppure per bacchettoni.
Il fatto è che – mio pensiero – in ogni ambiente (lavoro, scuola, etc) bisogna avere un contegno, un decoro, ed un modo do vestirsi.
Credo che a scuola non vadano bene i pantaloncini corti, nemmeno i sandali maschili senza calze, ma nemmeno vestiti più o meno provocanti.
Fuori da scuola ognuno si vesta come vuole, a scuola si seguono alcune piccole ed ovvie regole.
(sono bacchettone? non credo)
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No, non sei bacchettone. Io credo che la dirigente volesse dire quello che dici tu. Lo chiamo buon senso.
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Vero
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questo nuovo mondo dipinto al femminile più che un quadro impressionista è un quadro che fa impressione.
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