La solitudine del (numero) primo

“La tocca per Diego, ecco, ce l’ha Maradona. Lo marcano in due, tocca la palla Maradona, avanza sulla destra il genio del calcio mondiale. Può toccarla per Burruchaga… sempre Maradona… genio, genio, genio… c’è, c’è, c’è… goooooooooool… voglio piangere… Dio Santo, viva il calcio… golaaaaaazooo… Diegooooooool… Maradona… c’è da piangere, scusatemi.. Maradona in una corsa memorabile, la giocata migliore di tutti i tempi… aquilone cosmico.. Da che pianeta sei venuto? Per lasciare lungo la strada così tanti inglesi? Perché il Paese sia un pugno chiuso che esulta per l’Argentina… Argentina 2, Inghilterra 0… Diegol, Diegol, Diego Armando Maradona… Grazie, Dio, per il calcio, per Maradona, per queste lacrime, per questo Argentina 2, Inghilterra 0.”

Inizia così questo post sul talento, il mito e l’astuzia di Diego Armando Maradona fuoriclasse del calcio: con la trascrizione della telecronaca di Victor Hugo Morales, detto “il cronista di Maradona”, il più grande calciatore della storia, che in quella partita si prese una rivincita sugli inglesi, riscattando l’intera Argentina, per la sconfitta subita nella guerra delle Malvinas. Prima segnando con astuzia un gol con la mano (fallo non visto dall’arbitro), poi umiliando gli avversari con uno slalom irresistibile, a compimento di un melodramma, che meglio non si poteva rappresentare.

Il mito, al di fuori delle leggende, è quello che si crea quando l’eroe incarna un sogno ed un bisogno collettivo. L’astuzia è, quasi sempre, una prerogativa imprescindibile dell’eroe vincente. Nel film “Io sono Francesco Totti” – un altro fuoriclasse – anche l’ex calciatore della Roma parla dell’astuzia nel calcio, definendola una qualità indispensabile per diventare un campione. Chiunque abbia giocato a calcio lo sa, e lo dice uno che procurò un rigore inesistente, che valse la finale, poi vinta, alla sua squadra. Ma l’astuzia è una prerogativa che si trova in bilico tra due pessime qualità: la malafede e la cattiveria. A seconda di come si interpreta la questione, si può perfino cambiare il giudizio sulla storia, se non, addirittura, il suo corso. La VAR, a questo proposito, modificando l’esito di certe partite ed episodi, ci avrebbe privato di tanta storia del calcio che amiamo, diventata poi leggenda, come in questo caso.

Tornando all’eroe, possiamo dire che è vittima della storia, perché alla storia appartiene. Sarà poi il caso a decidere da quale parte l’eroe sarà schierato: in comune alle due fatalità, ci sarà sempre e solo il suo credo sincero, l’identificarsi nel suo popolo. Anche questo ci fa capire Totti, nel suo film documentario. Eroe e popolo si legittimano vicendevolmente, l’uno non potrebbe fare a meno dell’altro. Per questo la sopravvivenza dell’eroe si fa difficile quando viene a mancare il favore e l’aiuto degli dei (show business e media), se lui non sa togliersi l’armatura e vivere da uomo normale. Il popolo dimentica in fretta e cerca, indotto dagli auspici degli stregoni (i politici, i giornalisti, la delinquenza organizzata), un nuovo eroe da osannare e che gli dia una ragion d’essere, purché non pensi – singolarmente – con la propria testa.

Da avversario sportivo, ma amante dell’umanità (intesa come qualità), non giudico Maradona, lo ricordo e lo amo per l’emozione che mi hanno dato le sue gesta: su tutte quella di Argentina – Inghilterra, anche se quella guerra, che ne è il presupposto per il melodramma, voluta dal regime per salvare la dittatura argentina, era sbagliata. Ma quello non era certo colpa sua. Di lui amo la purezza, la bellezza estetica e l’arte di accarezzare il pallone, che lo portarono a compiere quei gesti.

Diego Armando Maradona, mito ed eroe vincente per la gente, ma perdente per se stesso, come uomo normale, senza armatura. Un uomo che ha dato senza ricevere nulla umanamente, a causa della sua debolezza culturale e caratteriale. Lo dico, con tristezza ed amarezza, perché penso sia così, senza voler fare retorica o morale, perché alla fine della sua vita, è rimasto circondato da una corte cattiva di parassiti e sciacalli. Persone che lo hanno lasciato – se non indotto – a morire solo, lui, El Pibe de Oro, Lui che era stato il primo.

9 risposte a "La solitudine del (numero) primo"

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    1. La tecnologia ci illude di sostituire le nostre imperfezioni, ma in realtà testimonia un arretramento culturale nel non saper più accettare l’errore in buona fede. Non so perché mi ricorda il concetto di democrazia diretta tramite l’informatica: assolutamente illusoria. Democrazia non può essere solo numeri, ma anche ponderazione e mediazione…

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  1. Un sacco di “amici” che hanno attinto dalla sua generosità, lasciandolo poi solo quando lui – pur senza dirlo – aveva davvero bisogno d’aiuto.
    Una corte di amici legati a lui da piccoli e grandi interessi personali, non da vera amicizia. E lui non l’ha capito.

    Sulla astuzia sono d’accordo, basta che non diventi pura antisportività.

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    1. Vero, il confine può sottile, ma se guardi il film di Totti, secondo me te lo fa capire. Si tratta di indurre con una finta o un certo movimento a compiere il fallo. Non tutti son capaci, ci va anche bravura. Incredibile vedere lui bambino fare già quei movimenti ai quali gli altri bimbi, ingenui abboccavano. E lui lo spiega commentando un filmato.

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      1. Se c,era uno corretto in campo era lui. Dal filmato sembra che lui possa colpire comunque di testa ma che con un intuito fulminante decida di farsi beffa di loro. Non è corretto per il regolamento ma per ciò che valeva per lui e gli argentini ci sta.

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  2. In quel gesto Diego vendicò ben due nazionali: Argentina e Germania poiché ne mondiale del 66 a Londra gli inglesi vinsero una finale sulla Germania con un goal inesistente che il pallone batté nella traversa e rimbalzo fiori da ben 20 centimetri e il Referee concesse goal agli ingressi.
    Il karma non arriva subito ma arriva

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