Italiani, brava gente (non solo il film)

Raffaele Pisu e Riccardo Cucciolla in una drammatica scena del film

Con il passare del tempo sempre più spesso mi capita di ripensare a tutta la gente scesa dal treno della vita sul quale mi trovo e constato che ormai per molti di loro, come dice Vasco, si è trattato dell’ultima stazione. Così, forse per reazione ad un mondo che sempre più tende ad occultare la memoria a favore della reiterazione dell’oblio culturale, ho sentito la necessità di scavare, come un archeologo, nella mia memoria personale e familiare, cercando di ricordarmi com’era il mondo quando, bambino, salii su questo treno, dove tutto sembrava nuovo ed eterno.

Credo di essere riuscito a risalire fino all’età di quattro, forse tre anni. Ad esempio, tra i “reperti” c’è una presumibile domenica mattina soleggiata in sella ad un triciclo di metallo rosso, assieme al mio papà ed un pomeriggio, un po’ grigio, mentre attraverso la strada davanti casa, tenuto per mano dalla mia mamma per andare a fare la spesa nei negozi di vicinato. Il meccanismo tramite il quale si fissano i ricordi è descritto nel film, cartone animato per bambini sulle emozioni, intitolato “Inside out”: tramite i sensi, certe sensazioni si imprimono dentro di noi prima ancora che si abbia coscienza di se. Senza rendercene conto, rimarranno indelebili per tutta la vita.

Poi ho cercato di ricordare i racconti che ascoltavo in casa: dai nonni, dai prozii e dagli zii. Il nonno paterno, emigrò con la famiglia (prima che mio padre nascesse) da Palermo a Torino, alla fine degli anni ‘20, in piena era fascista, mentre quello materno venne a Torino da Modena, nel dopoguerra. Grazie alla mia famiglia ho avuto testimonianze dirette di quello che accadde prima, durante e dopo la guerra. Per esempio la permanenza dei tedeschi in Emilia, lungo la cosiddetta linea gotica, la partecipazione di alcuni zii alla lotta partigiana in Piemonte, la perdita di uno zio militare in nord Africa e il rocambolesco rimpatrio di un altro paio di zii militari dai Balcani, dopo l’armistizio di Badoglio.

Combinazione, sto leggendo l’ultimo libro di Carlo Verdone, “La carezza della memoria”, che trovo affascinante per come tratta il ricordo, usando lo stesso garbo e la stessa simpatia delle sue commedie cinematografiche. E non è tanto il suo talento artistico e la sua capacità di lettura degli episodi che racconta, che gli invidio, ma i dettagli e le sfumature che non ha dimenticato e che, come lui stesso dice, sono stati la base dei soggetti sui quali ha costruito la sua carriera di attore. A me, purtroppo, restano le sensazioni, le emozioni, l’insegnamento che ne ho tratto, ma non i dettagli ed i particolari, se non in rari casi.

Inizialmente per caso, mi sono reso conto che però esisteva un modo per provare a recuperare un po’ di quella memoria perduta: certi film, che elenco in una nota in fondo, appartenenti al filone neorealista, in voga sin dal primissimo dopoguerra, i quali mostrano – con lo sfondo della storia drammatica della prima e della seconda guerra mondiale, i sentimenti, le emozioni e la cultura della ancora giovane società italiana, attraverso la rappresentazione della vita e della gente comune. Sono film che vale la pena suggerire, sempre citati dai critici e famosi per il titolo, ma forse visti ormai da pochi. Che dire: me ne sono innamorato, perché ci ho ritrovato le sensazioni dei racconti, per me al tempo oscuri, che ascoltavo da piccolo e mi sono emozionato moltissimo vedendo scene di vita quotidiana che rispecchiavano fedelmente i racconti dei miei nonni e dei miei genitori di quando erano piccoli: il papà a portare cibo ai fratelli partigiani, nascosti in montagna e la mamma a giocare nell’aia con i soldati tedeschi di 17 anni, poco più grandi di lei.

Alberto Sordi, Vittorio Gassman, Ugo Tognazzi, Anna Magnani, Aldo Fabrizi, Raffaele Pisu e tanti altri, ci hanno rappresentato meravigliosamente, nel bene, nel male ed anche nel nostro peggio. Nonostante una lettura politica sia possibile, penso non fosse quello lo scopo dei registi, bensì il dare voce al popolo, ovvero a noi. Forse non si rendevano conto di quello che ci avrebbero lasciato: altro che “Salvate il soldato Ryan”, film cult meraviglioso e tecnicamente perfetto. Guardando questi film, ci sei e ci stai dentro, perché il protagonista sei tu con il tuo DNA e le tue origini. Come la politica, anche la retorica, che ogni racconto datato deve avere, rispetto al contesto che lo caratterizza, diventa secondaria: bisogna invece essere obiettivi e critici, guardarsi allo specchio, non pensando di essere figli di altro, ma della storia. Anzi, di quella storia e – a quel punto – rendersi conto di quanto ognuno di noi ci sia dentro suo malgrado, perché non è retorica – invece – affermare che la storia siamo noi, anche come semplici individui e cittadini. Ed è in questo passaggio, che si scopre o si ritrova, se vogliamo, la nostra identità culturale ed il senso di appartenenza alla nostra comunità. Senso – da non confondere col populismo ed il nazionalismo – come fenomeno naturale che garantisce a noi, alla nostra cultura ed alla nostra progenie, un significato alla vita, se non – almeno – alla sopravvivenza. Nonostante tutto.

I film che ho visto sono:

  • Roma città aperta (R. Rossellini) del 1945,
  • Paisà (R. Rossellini) del 1946,
  • Germania anno zero (R. Rossellini) del 1948,
  • Le quattro giornate di Napoli (N. Loy) del 1956,
  • La grande guerra (M. Monicelli) del 1959,
  • Tutti a casa (L. Comencini) del 1961,
  • Il federale (L. Salce) del 1961,
  • Italiani brava gente (G. De Santis) del 1964.

4 risposte a "Italiani, brava gente (non solo il film)"

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    1. Non è una questione di mancanza di tempo. Ho avuto tali e tanti problemi personali che non mi hanno consentito di avere la condizione mentale per farlo. La cosa mi dispiace e la scrittura mi manca. Ci sono alcune cose tra le quali questa che mi prometto di riprendere a fare, anche perché le idee non mi sono mancate, sia in riguardo alla mia vita personale che alla cronaca. Comeing sono… si dice in questi casi.

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